Prima lettera a Jack

209ª Strofa

Bene, questo a momenti mi ammazza.
Ho fatto le valigie ed è arrivato
il momento di partire per il cielo.
Paura del viaggio. Sempre
pesato che fosse breve e spiccio
così me ne fregavo. Oppure
sempre pensato che sarei stato contento d’andarmene.
Ma chi è contento di andarsene? Voglio oro
Voglio ricca sicurezza nelle gambe
e buone ossa di latte vuoto
della Bontà-di-Dio – Voglio
Ho bisogno piango come bimbo
Voglio il mio Orsacchiotto
dolce dorso setoso
e dong streng beng bong
non sciupate il mio ding-dong
cercate di non scherzare con me
un’altra volta e lo vado a dire
al pappone, Dio puttana –
Ho le paturnie
Mi sono espresso male
Voglio oro voglio oro
Oro di eternità

209th Chorus

Well, that about does me in.
I’ve packed my bags and time
Has come to start to heaven.
Afraid of the trip. Always
Thought it was short & snappy
And I wouldnt worry. Or
Always thought I’d be glad to go.
But who’s glad to go? I want gold.
I want rich safety in my legs
And good bones made of empty milk
Of God-Kindness – I want
I need I cry like baby
I want my Partotooty
Sweety backpie back
And dong stang bang bong
Dont scrounge my yoll-scrolls
And try yo fool with me
One more time & I report you
To the pimp, whore God –
I got the woozes
Said the wrong thing
Want gold want gold
Gold of eternity

Questa è forse la poesia più bella che tu abbia mai scritto. O quantomeno la più bella che io abbia letto. Leggendola, ti posso leggere dentro: posso leggere la tua rabbia e la tua fragilità. Posso leggere le tue paure, le tue ansie e le tue preoccupazioni, che sono un po’ anche le mie.

Una strana connessione ci lega, ma io ti capisco Jack. Ho capito fin da subito che quel “that” del primo verso sta a indicare l’alcol, quell’alcol da cui fottutamente dipendevi e dal quale mai ti sei riuscito a separare. E avevi ragione, Jack, e già lo sapevi: quell’alcol a momenti ti avrebbe ammazzato… E così è stato.

Hai preparato le valigie ma non sei pronto per partire, ma del resto, come tu stesso dici, chi è contento di andarsene? Queste tue valigie metafisiche sono diverse da quelle che ti hanno portato di qua di là di su di giù per l’America e per il mondo intero. Queste valigie non ti portano in nessun luogo. Queste valigie ti portano in un non-luogo (come tu ben sai, tu che conosci il Buddha…) e il viaggio che devi fare è diverso da tutti quelli che già hai fatto. Non ci sarà Neal al tuo fianco, e nemmeno un vecchio vagabondo che beve whisky su un treno diretto verso Frisco. Sarai solo. E so che è questo che ti spaventa, Jack, la solitudine. Ma non solo quella. Ti spaventa anche il vuoto. La vanità. L’assenza totale di tutto. Ma Dio esiste nella sua Bontà, e tu lo sai, e sai che Lui solo può darti quella “ricca sicurezza” che cerchi.

Ma per ora hai paura, paura del vuoto, paura che diventa paura infantile del buio. È per questo che nella poesia regredisci alla pre-razionalità (Quasi pascoliana, direbbe il mio caro amico Patrick) di un bambino che nella notte stringe il suo orsacchiotto. Ecco di cosa adesso avresti bisogno: tornare bambino. Ma non si può, e anche questo tu lo sai, infatti nel verso 19 dimostri di essere uomo, cinico e disincantato. Le bambinesche fantasie non sono altro che chimeriche strade non più percorribili.

Il verso 19 è la mia ossessione. Mi lascia a bocca aperta, esterrefatto, ogni volta. Devo dire Jack che ti conosco, ma non del tutto. Altrimenti me lo sarei aspettato. E invece no, mi coglie ogni volta di sorpresa. In questo verso c’è tutta la tua genialità: quelli che sono i capricci di un bambino, diventano, da un verso all’altro, minacce e bestemmie. In un solo verso, in pochissimo tempo. Perché è in pochissimo tempo che si cresce, che da bambini si diventa adulti. E tu lo sei diventato così, d’un fiato, senza avere la possibilità di accorgertene. È per questo che quel giorno, tanti anni fa, sulla strada con Neal, quando lui ti disse che avevi già 27 anni tu ti arrabbiasti. Ti arrabbiasti perché lui, che era il tuo lato dionisiaco, che era la tua irrazionalità, si era per un attimo mostrato razionale e ti aveva detto chi eri. E questo ti aveva spiazzato.

Ma tornando a noi, caro Jack, devo dirti che il finale di questa poesia è meraviglioso. È meraviglioso perché si comprende come ciò che cerchi non sia una qualche sicurezza terrena, ma qualcosa di più. Cerchi dell’oro, sì, ma non dell’oro che brilli sotto la timida luce di un raggio di sole. No, tu cerchi l’oro dell’eternità, un oro che brilli in assenza di luce, in assenza di tempo, in assenza di spazio. Cerchi l’oro più prezioso che esista, Jack, e lo chiami “Oro dell’eternità” sebbene tu sappia che Egli viene comunemente chiamato Dio.

con affetto,

Jean

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